cinque cose che farò al posto di andare in guerra.
e un giudizio pesante sui canti pisano-recanatesi di leopardi.
Nel 2001 ero troppo piccolo, avevo 5 anni ed il mio mondo era fatto di Digimon. Non sentivo l’aria frizzantina del terrorismo islamista, o il puzzo di merda che usciva dalle bocche bugiarde e criminali di Bush Jr. e Tony Blair; non mi accorgevo del mondo nel quale avrei dovuto crescere che smetteva di esistere e della guerra che entrava a far parte delle vite delle persone. Per me quindi è la prima volta, e come tutte le prime volte sono assalito da eccitazione, ansia e imbarazzo. Mi eccita refreshare l’ANSA ogni 10 minuti per vedere se la Von der Leyen ha deciso che il mese prossimo muoio, mi mette ansia il fatto che i miei amici abbiano non ironicamente fatto visti per paesi isolati geograficamente, potenzialmente autosufficienti e dalla politica bene o male neutrale (Nuova Zelanda, magari interessa anche a voi), mi imbarazza Roberto Vecchioni. Come tutte le prime volte, mi domando se è normale che tutto stia succedendo così velocemente e che io stia sudando come un cretino.
Roberto Vecchioni, rimaniamo un secondo su Roberto Vecchioni. È successo che è stata organizzata una “piazza per l’Europa” nella quale tante persone che si rifiutano di essere chiamati guerrafondai hanno detto che la pace non va fatta. Tra questi c’era anche Roberto Vecchioni, che prima ha sottolineato come “non si possa accettare qualsiasi pace”, e poi ha saltato la staccionata del suprematismo in stile pubblicità Olio Cuore dicendo che chi era in piazza in quel momento doveva chiudere gli occhi e pensare ai nomi che lui avrebbe detto. Questi nomi erano: Socrate, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Pirandello e Leopardi. Ha fatto riaprire gli occhi e poi ha chiesto: “ma gli altri le hanno queste cose?”. Gli altri erano quei luridi pezzi di merda nati con la disgustosa colpa di non essere europei, se non si fosse capito.
Dati i cartelli a favore del piano ReArm Europe e le bandiere dell’Ucraina che sventolavano nella piazza dei non-guerrafondai, verrebbe da pensare che la soluzione per fare i conti con questi vermi nati a Ovest del Warwickshire e a Est di Atene stia nelle fabbriche della Rheinmetall e in quelle di Leonardo. Nei momenti storici durante i quali i nostri interessi coincidevano o non erano in palese contrasto, quasi quasi ci siamo dimenticati dell’atavica colpa di questi selvaggi - non aver mai letto Pascoli. Ci siamo incontrati, sorrisi a vicenda e qualche volta seduti allo stesso tavolo. Non so loro, ma noi stavamo fingendo per tutti il tempo. Ci spacciavamo per fratelli del mondo, invece eravamo i nazisti di sempre che avevano scoperto parole come “tolleranza”. Mi sembro io qualche anno fa quando andai in Marocco con l’idea che tutti mi volevano bene perché io volevo bene a tutti, venni rapinato due volte in due giorni e la vacanza successiva la prenotai a Innsbruck. Tolleravamo il fatto che a Mozart preferissero Šostakovič, o Il diario di un pazzo di Lu Xun ai Promessi sposi. Ora però che le nostre strade finalmente si separano, abbiamo tollerato abbastanza. Ora, come da migliore tradizione, bombe a mano e carezze col pugnal.
Qualcuno ha detto che Vecchioni sta perdendo un po’ di colpi per via dell’età. Trovo questa lettura estremamente irrispettosa verso un 81enne che sembra cavarsela alla grande sia di testa che di fisico. Vecchioni è una persona che - in maniera peraltro legittima - pensa di far parte di un popolo culturalmente superiore a tutti gli altri e che oggi mostra quell’orgoglio messo per troppo tempo a prendere polvere; forse perché non gliene frega più niente di nasconderlo, forse perché Putin è effettivamente un pezzo di merda, forse perché oggi finalmente parla in una piazza piena di gente che la pensa come lui. Quando penso a Vecchioni non penso a un anziano in difficoltà, penso alla scena del film Patton, generale d’acciaio di Franklin J. Schaffner dove quello che fu uno dei generali più importanti della Seconda guerra mondiale ispeziona un campo di battaglia. Si muove tra cadaveri martoriati dalle esplosione e carri armati incendiati quando nota un ufficiale che sta morendo. Lo bacia e, guardando un’ultima volta quello scenario di morte e distruzione, dice: “Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita”.
La cultura nella bocca di questi arruolatori diventa niente, spazzatura. Lo stesso paradigma suprematista messa nero su bianco da Ernesto Galli della Loggia e la sua gvng (la commissione incaricata di redigere le Nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo scolastico) quando scrivono che “solo l’Occidente conosce la storia”. Socrate, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Pirandello e Leopardi se usati per contrapporsi a qualcun altro - a chi, poi? Dostoevskij, teste di cazzo? Chinua Achebe, che Dio mi fulmini se non fulmina voi? - diventano uno strumento di persuasione allo scontro che, più che alla straordinaria ambizione della letteratura e della filosofia di capire e raccontare l’umano, assomigliano alla gassosa del soldato statunitense Michael Rosenfield, arruolatosi nel 1970 - in piena guerra del Vietnam. Joanna Bourke in Le seduzioni della guerra (Carocci, 2003) riporta le sue memorie:
Ti mettevano in mano un fucile con una baionetta e dicevano «Qual è lo spirito della baionetta?». E tu dovevi urlare: «Uccidere!». E, non lo dimenticherò mai, io rispondevo a gesti. Non volevo dirlo. Così, per farcelo dire più forte, il sergente urlava: «Non ti sento!». Tutti urlavano: «Uccidere!». E, di nuovo, io facevo la pantomima. Una volta dissero: «Se non lo dite più forte, non vi daremo la gassosa!». E, non lo dimenticherò mai, a un certo punto urlai che lo scopo della baionetta era uccidere - la prima volta che lo feci - ed ebbi la gassosa, perché ero esausto e disidratato.
In tanti hanno detto, dicono e diranno che lo scopo della baionetta è uccidere, e in tanti hanno ricevuto, ricevono o riceveranno una pacca sulla spalla, una bella gassosa ghiacciata e la rassicurazione che sono nati nella parte di mondo superiore. Quella che ha Socrate, Cartesio, Hegel, Marx, Shakespeare, Pirandello e Leopardi. Sperano sia abbastanza per convincerti della necessità che il Bene sconfigga il Male e che una quantità impressionante di soldi che fino a 10 minuti fa non esistevano vengano utilizzati per finanziare il patetico e pericoloso canto del cigno delle democrazie liberali. Pensavate che Giuseppe Verdi venisse spazzato via dalla storia così, senza 800 miliardi in armamenti?
È attraverso la superiorità culturale che siamo finiti a parlare di una guerra assurda mentre si fa una pace dai termini assurdi. E dato che loro parlano di guerra e riarmo, anche noi siamo costretti a riprendere dimestichezza con termini che avevamo mandato in soffitta: diserzione, ad esempio. Un fenomeno sociale che ha influenzato la storia e l’identità di questo paese molto più di Pirandello e Leopardi, solo che lo abbiamo rimosso. Nel novembre del 1921, ad esempio lo Stato italiano decise di avviare le procedure per la commemorazione dei circa 600.000 militari italiani caduti nella Grande Guerra attraverso l'istituzione del cerimoniale del Milite Ignoto. La Commissione stabilì di recuperare undici salme di soldati non identificati ma riconoscibili in modo inequivocabile come appartenenti al Regio Esercito, caduti nei territori di Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele e Castagnevizza del Carso, con l’obiettivo di sceglierne una da tumulare all'Altare della Patria.
Se giochiamo al gioco di ripercorre la geografia degli scenari delle più importanti battaglie del primo conflitto mondiale, l’assenza dei territori che vanno da poco sopra Gorizia fino al monte Rambon, conosciuti come Alto e Medio Isonzo, è abbastanza clamorosa. Proprio in quei luoghi si svolsero le "spallate" sull'Isonzo, marchio di fabbrica del macellaio Cadorna, alle quali dobbiamo la morte di oltre 77.000 soldati italiani, oltre ai quasi 376.000 feriti e ai 129.000 dispersi. Perché? La spiegazione si trova nella relazione della Commissione ufficiale sui criteri adottati per il reperimento e la selezione delle salme, presentata al ministro della guerra Luigi Gasparotto. Si legge:
In merito all'esclusione dei territori dell'Alto e Medio Isonzo dalla nostra ricerca, si è ritenuto doveroso evitare sia pure il solo lontano sospetto, la pur minima ombra di dubbio, che a rappresentare i nostri eroici caduti fosse una salma che non ne avesse i requisiti.
La preoccupazione della Commissione derivava dai frequenti episodi di ammutinamenti e diserzioni (ai quali seguivano decimazioni ed esecuzioni sommarie) registrati in quei territori. Si parla di Bainsizza, San Gabriele, Santo, Vodice, Kobilek, Santa Maria, Veliki Vrh, Monte Nero e Monte Rosso. Il rifiuto della guerra è qui tra noi, è anzi alla base di questo paese, ma fa talmente tanta paura che ci siamo imposti di non pensarci mai. Mai mai mai. Quando Galimberti (età: non arruolabile; probabilità che prenda parte ad un’offensiva di fanteria: nessuna) va in televisione e dice che la pace intorpidisce, Scurati (età: ufficiale di riserva, se proprio va di merda; probabilità che prenda parte ad un’offensiva di fanteria: bassissima) parla dello spirito combattivo dell’Europa e Vecchioni (età: non arruolabile; probabilità che prenda parte ad un’offensiva di fanteria: nessuna) chiede se gli altri ce le hanno queste cose, vi dovete immaginare il colonnello Stringari di Emilio Lussu mentre dice che “qui noi dobbiamo morire tutti. Tutti dobbiamo morire. Il nostro dovere è questo”. La risposta che riceve è quella che si meriterebbero anche Galimberti, Scurati e Vecchioni: “Incominci lui”.
Questi pensieri mi girano per la testa da un po’ di tempo, abbastanza da sentire il bisogno di sistemare le prospettive e le possibilità. Ecco a voi, quindi, il mio piano per le prime cinque cose che farò una volta dichiarata la mobilitazione generale. Sentitevi liberi di aggiungere le vostre nei commenti.
Cosa che farò per prima al posto di andare in guerra:
Provare a rileggere Dialoghi con Leucò per la quinta volta in vita mia. Ammetto di non essere il più sveglio della cucciolata e che l’hobby del farsi le canne abbia senz’ombra di dubbio rallentato i processi cognitivi del mio cervello, ma di solito sono in grado abbastanza agilmente di leggere un testo di senso compiuto. Ahimè non funziona così per quello che dovrebbe essere il capolavoro di Cesare Pavese, durante la lettura del quale mi trovo costretto a fermarmi ogni due righe per essere sicuro di non aver appena avuto un aneurisma e aver perso la capacità di leggere. Che sia in una botola per sfuggire ai Carabinieri o in carcere militare, avrei abbastanza tempo libero per riprovarci.
Cosa che farò per seconda al posto di andare in guerra:
C’è un posto che vedo dalla finestra di casa mia che sembra incredibile ma non ho mai capito come andarci. Da valutare la distanza effettiva a piedi, in caso il parco mezzi del trasporto pubblico sia inutilizzabile causa riconversione per motivi bellici.
Cosa che farò per terza al posto di andare in guerra:
Prendermi del tempo per immergermi nel manifesto di Ventotene, un tempo nel quale riscoprire un classico senza tempo, una pietra miliare delle nostre identità in grado di tracciare la strada ad intere generazioni di europei: quella del Federal-SCHEEEEEERZOOOOOOO RIPRENDETEVIIIII.
Cosa che farò per quarta al posto di andare in guerra:
Flirtare con l’idea di uno spettacolare suicidio rituale, senza ombra di dubbio. Mi conosco troppo bene per non pensare di prenderlo in considerazione. Verosimilmente non mi ammazzerei mai e poi mai, soprattutto in un momento dove non posso ottenere attenzione dato che i russi stanno arrivando ad Anversa, ma mi prenderei la briga di organizzare il tutto nei minimi dettagli. Tipo il pagare qualcuno per poi scrivere sul muro col mio sangue “sai cosa, i canti pisano-recanatesi di Leopardi pensavo meglio” e rovinare la giornata a Vecchioni quando leggerà la notizia.
Cosa che farò per quinta al posto di andare in guerra:
Pensare a cosa scriveva nei suoi diari partigiani Roberto Battaglia, combattente delle brigate Giustizia e Libertà e poi storico e giornalista. Parla di giustizia e violenza, di violenza necessaria in quanto giusta. Parla di una giustizia che lascia il casino in testa a chi la dà forse anche più che a chi la riceve. Racconta delle condanne a morte ai collaborazionisti e della difficoltà a capire “cosa significhino quelle parole così nude e indifferenti, quanti dolori e quante morti si nascondano dietro ad ognuna di esse”. Racconta che durante gli interrogatori tutti erano tranquilli, pensavano che se la sarebbero cavata con un po’ di soldi da dover sborsare. “Impossibile che in Italia, ove da decenni tutto finiva nel compromesso e nell'accordo, si potesse fucilare delle persone per semplice gusto di giustizia”. L’industriale che aveva fatto affari con i tedeschi, il contadino che aveva guidato un rastrellamento per un po’ di pane, una donna che andava a letto con un soldato e poi denunciava i compaesani che la chiamavano prostituta. Tutti lo facevano per convenienza, non ci credevano davvero, e ora - ora che capivano che i soldi non sarebbero serviti - erano terribilmente dispiaciuti.
Chi giudica, esita allora perché non è di un giudice umano indagare le intenzioni, ma di un uomo dubitare. Sì, ammetto almeno in parte la loro incoscienza, ma non è proprio questa incoscienza che ha condotto alla rovina il mio paese, il pensare solo a se stessi, l'ignorare l'esistenza di una società verso cui si risponde? Non ho ucciso - dichiarano quasi tutti - e quindi non sono meritevole di morte. E non sanno ancora, non sanno, che si può commettere atti ancora più gravi dell'uccidere, come il vendere i propri fratelli per denaro, guadagnare denaro sul loro sangue. Muoiono con gli occhi chiusi (anch'io potevo essere uno di loro) senza comprendere - in ciò sono sinceri - che cosa significhi «tradimento». Oh, poter ridere di ciò, magari di disgusto e di rabbia, e non essere qui a giudicare! Per me sarebbe più semplice lasciarli in libertà oppure delegare ai miei uomini il diritto di chiedere grazia. Ma son io che debbo decidere, ma sarei un vile di fronte ai miei uomini, se ne compromettessi uno solo per questa debolezza. Non è sulle coscienze che debbo giudicare ma sui fatti, tenermi soltanto a questi. Non punirli per ciò che hanno fatto sarebbe dubitare delle ragioni stesse per cui combattiamo, ammettere io stesso che nel mio paese non può esistere una fede e una giustizia.
Allora dico: mezzo menomale che non mi sono sparato quando i Carabinieri - loro sì, i veri imboscati della storia delle guerre - stavano cercando di prendersi il loro pezzetto di leva del ‘96. Battaglia mi aiuta ad avere un pensiero complesso: ha ragione Anna Achmatova - toh, un’altra che Vecchioni si era dimenticato - quando scrive che “il miele selvatico sa di libertà, la polvere del raggio di sole, la bocca verginale di viola, l’oro di nulla, la reseda sa d’acqua e l’amore di mela, ma noi abbiamo appreso per sempre che il sangue sa solo di sangue”, ma ha ragione anche lui quando parla di tradimento. Dell’inaccettabile gesto di ignorare il rispondere ad una comunità. La fede e la giustizia sanno di sangue?
Se fossi il Generale Pappalardo, dichiarerei in arresto per tradimento di questa comunità chi parla di spirito guerriero dell’Europa e di pace che intorpidisce. Ma non sono il Generale Pappalardo, e tantomeno Roberto Battaglia. Ho iniziato queste righe sentendomi un fante sul Sabotino che scrive su un pezzo di carta straccia O Gorizia tu sei maledetta, lo finisco sentendomi come uno la cui vita sta continuando come se niente fosse, tranne che ora su Instagram mi appaiono i reel dei bunker antiatomici. Dopotutto, niente è mai così serio. Nemmeno 800 miliardi in armamenti. Niente accade mai veramente, se ci fate caso. Però una cosa ve la prometto: se questa storia finisce con io che salto su una mina nella Masovia, poi faccio un casino.
Grazie per aver letto fino alla fine, spero di aver fatto un buon uso della tua attenzione e del tuo tempo. Se non sei ancora iscritto o iscritta alla newsletter puoi farlo da qui, se invece vuoi dirmi qualcosa puoi rispondere a questa email o scrivermi su Instagram. Lezione di nuoto era, è, e rimarrà gratuita. Se però hai voglia di supportare economicamente questo progetto puoi farlo tramite il bottone che trovi sotto, oppure comprando il nuovo merch che trovi qui. Altrimenti è comunque ok, nessun problema. Anche perché, come dice una delle più grandi penne del nostro tempo: “saremo ricchi, ricchi per sempre / o forse no, vabbè fa niente”.
Madonna, non avrei mai immaginato in vita mia di pensare così tanto a Vecchioni, e con così tanto odio, come nelle ultime due settimane. Che storia.
Uno dei tuoi pezzi più belli finora.