Tra tutte le domande assolutamente inutili e senza alcun contatto con la realtà che mi occupano perennemente la testa, una di quelle più lontane dal mondo che mi circonda è: che musica suonano all’inferno? Se fosse possibile accedere ad uno scorcio dell’essere umano nel suo punto più basso, cosa pomperebbero le casse? Ogni volta che ci penso mi rispondo immediatamente: gli ABBA. Lo faccio perché gli ABBA sono la mia cosa spreferita al mondo, insieme al fatto che i miei genitori un giorno moriranno e a quando Cruciani dice “ma cosa c’entraaaa” riferendosi a due cose che hanno una evidente consequenzialità. Poi dico no, Ale, forse esageri: pensa a Erika o Grüne Teufel o altre marce naziste. All’inferno suonano musica che è stata simbolo di morte e distruzione, non i cazzo di ABBA. Mi ero quasi convinto, poi mi è venuta in mente Wonderwall degli Oasis in acustico cantata da uno che c’ha la frase “life is a wave, catch it” sull’avambraccio. All’inferno suonano Wonderwall degli Oasis in acustico cantata da uno che c’ha la frase “life is a wave, catch it” sull’avambraccio, storia chiusa.
La storia non è chiusa, dato che ho scritto un paragrafo striminzito. Però è difficile parlare di musica, e non so se sono in grado di parlare di musica (tra qualche riga parliamo di ammazzamenti e storia del novecento, tranqui). Prima di tutto perché sono generalmente contro la musica che non ho scelto di ascoltare io in quel preciso istante e sulla quale non ho alcun potere. Questa roba viene dal fatto che nel momento della mia vita dove tutti i miei amici usavano la musica come un modo per divertirsi io ero generalmente e inspiegabilmente tristino, e non mi andava granché. La musica - soprattutto un tipo di musica, quella che è pensata con lo scopo di un ascolto collettivo per finalità ludiche - è diventata prima una roba inaccessibile, e poi una barriera tra me e le persone con le quali volevo stare.
La techno quindi non mi fa cacare perché mi annichilisce come essere umano o perché se vado ad una serata dove la mettono poi esco di lì in preda alla paranoia di essere di destra, ma perché ho perso il treno per capirla quando ero un ragazzino e figuriamoci se sono in grado adesso che non sono più un ragazzino. E io, vanto e gloria della provincia italiana, sono terrorizzato da ogni cosa che non capisco. Oltre a questo, sono anche a favore del fatto che non mi devi rompere i coglioni. Sono intestinamente contro chiunque metta la musica alta e la faccia sorbire a tutti i poveri cristi intorno a lui. Ho augurato il peggio ad ogni stronzo che abbia suonato la chitarra al tramonto in qualche spiaggia dove ero presente anche io, quando ogni tanto faccio il turno al bar e la gente mi chiede di mettere una canzone in coda (spesso gli ABBA, lavoro in un posto frequentato principalmente da americane tardo-adolescenti) muoio dentro, e sono un Dio estremamente severo quando devo giudicare i ragazzini che per ragioni a me incomprensibili non si mettono le cuffie per ascoltare la trap sul bus.
Però io sono io, e per fortuna voi non siete me. La mia ragazza ha voluto comprare un giradischi nella nostra casa minuscola e vuole ascoltare la musica insieme a me perché mi vuole bene, e tanti amici che mi hanno chiesto di andare ad ascoltare la musica con loro lo hanno fatto perché mi vogliono bene. Io sono drammaticamente incapace nelle dinamiche di condivisione, ma sono anche commosso nel profondo da queste. Se penso che qualcuno vuole ascoltare una canzone insieme a me - anche se è Grüne Teufel, anche se sono gli ABBA -, a me viene da piangere da quanto sono contento e grato per questa cosa. Poi mi distraggo, o mi annoio, o me ne vado, o non lo faccio proprio, ma perché sono un pezzo di merda e dò continuamente per scontato la cosa più importante al mondo: che le persone vogliano passare il tempo con me. Che almeno una persona voglia farmi sentire una canzone che non mi piacerà, che è scritta da un bimbo di 7 anni e che è cantata da gente vestita come dei cretini. Nel mentre, stiamo insieme. Per questo è importante sapere che musica suonano all’inferno, perché ti dice tanto di cosa sia l’inferno e di cosa sia la musica e sia nell’inferno che nella musica le persone stanno insieme.
Provo a restituirvi i primi minuti della scena del D-Day in Salvate il soldato Ryan, per chi di voi non l’avesse visto, quando gli uomini del 2° Battaglione Rangers Compagnia C guidato dal Capitano John Miller assaltano la spiaggia di Omaha Beach difesa dai tedeschi per spostare definitivamente gli equilibri della Seconda guerra mondiale e, parallelamente all’avanzata sovietica che arrivava da est, iniziare la liberazione dell’Europa dal nazismo e dal fascismo. Ci sono le higgins boat - barche da sbarco - e una serie interminabile di volti pallidi dal terrore e dal mal di mare; ci sono uomini che pregano e uomini che fissano il vuoto; c’è il suono delle mitragliatrici tedesche, il rumore delle onde che sbattono e di ragazzini che vomitano; c’è la prima fila di soldati che viene abbattuta in pochi secondi, e la seconda fila che si ritrova piena di sangue e con la consapevolezza che l’ultima volta che hanno visto la loro fidanzata è l’ultima volta in generale; c’è la gente che cade in mare, e la gente che arriva alla spiaggia; ci sono le esplosioni dei mortai e ancora le raffiche delle mitragliatrici; ci sono gambe che volano, braccia che si disintegrano; c’è gente che brucia e gente che esplode; c’è gente che muore. C’è tutto questo, all’inferno. Manca solo una cosa, che è anche la cosa più importante: qualcuno come Bill Millin, che aveva 21 anni, era sbarcato su una spiaggia a qualche chilometro di distanza e i suoi amici chiamavano “il pifferaio pazzo”.

C’è in altri film, come Il giorno più lungo e un altro paio che hanno conosciuto un filo meno di fortuna al cinema. Nella maggior parte delle rappresentazioni culturali di quelle ore infernali nelle spiagge della Normandia, quando alcuni uomini arrivavano dal mare e altri uomini difendevano la terra, non c’è spazio per William - Bill, per le persone che gli volevano bene e quindi anche per me - Millin. C’è spazio per le cose che dicevo prima: gli anfibi, le mitragliatrici, i ragazzi che urlano e i ragazzi che muoiono. Non c’è spazio per pifferai pazzi o altre stronzate del genere. Per fortuna, però, la realtà è molto meglio dei film (regola che mi ha insegnato mio padre da piccolo, insieme a diffidare dei Chihuahua e di chiunque possegga un Chihuahua) e Bill Millin è esistito davvero, e ha vissuto davvero l’inferno, e ha fatto cose che non riguardavano né gli anfibi e né le mitragliatrici, non ha urlato e tantomeno è morto. Ha suonato una cornamusa, e tutti a dire: “che grande che sei, Bill, per suonare la cornamusa all’inferno”. Che è la cosa più bella che si possa dire a qualcuno, se ci pensi bene.
Insomma, William Millin detto Bill: figlio di due immigrati scozzesi in Canada, nasce in un posto col nome strano (Regina) e in una provincia che fa sembrare il nome della cittadina tutto sommato ok (Saskatchewan). Cosa ci facciano due scozzesi - tre scozzesi, da quando è arrivato Bill - a Regina nello Saskatchewan non lo so, ma pare anche loro non fossero convintissimi della scelta: quando Bill è ancora un bambino percorrono l’oceano nel senso contrario e tornano in Scozia, dato che la disoccupazione aveva dato al padre un bel mestiere - mestiere di insomma sapete come va a finire la canzoncina. Cresce tra Glasgow e Fort William seguendo il padre poliziotto, e qui si arruola nell’esercito territoriale; nonostante non sia un pessimo tiratore, è comunque più bravo con la cornamusa, portando avanti una straordinaria tradizione scozzese che arriva fino al 1314, quando a Bannockburn si combatteva la battaglia decisiva della prima guerra d’indipendenza scozzese. C’era gente che urlava e moriva, e gente che suonava una cornamusa.
Hanno un nome particolare: warpipes, cornamuse da guerra. Erano l’orgoglio degli eserciti dei clan, i gruppi che prima del dominio inglese si dividevano il potere in Scozia. Uno strumento musicale in guerra non era niente niente di nuovo, e sia prima che dopo chi faceva e chi pensava la guerra aveva avuto idee simili: pensate ai Bucinator nell’Antica Roma, o i trombettieri inquadrati nei Bersaglieri qui in Italia. La particolarità della cornamusa di guerra in Scozia non è quindi l’unicità, ma piuttosto l’inadeguatezza del suono. Il fatto che quel suono triste e popolare in guerra non c’entra proprio niente. La tromba un senso ce l’ha, a pensarci bene: prendete il libro del profeta Gioele nell’Antico Testamento, o la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi nel Nuovo, o a quello che scriveva Dante nell’Inferno. Il suono della tromba è il segnale del giudizio finale, dell’Apocalisse. C’è da aver paura, delle trombe. Mi viene in mente l’Apocalisse 8:6-21:
E i sette angeli che avevano le sette trombe si prepararono a suonare la tromba. Il primo angelo suonò la tromba, e si fecero grandine e fuoco, mescolati con sangue, e furono gettati sulla terra; e la terza parte degli alberi fu interamente bruciata, ed ogni erba verde fu interamente bruciata. Poi suonò la tromba il secondo angelo, e qualcosa simile a una grande montagna di fuoco ardente fu gettata nel mare, e la terza parte del mare divenne sangue; e la terza parte delle creature che vivono nel mare morì, e la terza parte delle navi andò distrutta. Poi suonò la tromba il terzo angelo, e cadde dal cielo una grande stella che bruciava come una fiaccola, e cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle sorgenti delle acque. Il nome della stella è Assenzio e la terza parte delle acque divenne assenzio; e molti uomini morirono a causa di quelle acque, perché erano diventate amare. Poi suonò la tromba il quarto angelo, e fu colpita la terza parte del sole, la terza parte della luna e la terza parte delle stelle, sicché la terza parte di essi si oscurò; e la terza parte del giorno perse il suo splendore come pure la notte. Poi vidi e udii un angelo che volava in mezzo al cielo e diceva a gran voce: «Guai, guai, guai a coloro che abitano sulla terra, a causa degli altri suoni di tromba che i tre angeli stanno per suonare».
Il loro uso in guerra è stata una traslazione abbastanza approssimativa del fatto che ogni capo clan nella Scozia pre-britannica aveva un “piper” personale, che lo seguiva ovunque andasse. Una volta che la Scozia pre-britannica diventa britannica, e gli scozzesi iniziano ad infoltire i ranghi dell’esercito di Sua Maestà rifiutando però l’assimilazione, le cornamuse entrano a far parte di un esercito vero e proprio che pratica la guerra in ogni angolo del mondo - anche se autorizzate solo nelle retrovie. L’elemento folkloristico piace un po’ a tutti, ma la funzione in guerra rimane discutibile: lo strumento è una rottura di coglioni da portare in giro, il suono è solenne ma nella sfumatura che ti fa piangere più che gasarti e con il tempo il suo utilizzo si è affermato principalmente durante i funerali - non proprio la situazione da avere in mente mentre dai il via ad un’offensiva di fanteria. Uno dei pochi validi motivi per il quale portarsi una cornamusa assume un senso è anche quello che riempie di bellezza la storia tutta delle cornamuse in guerra. L’ho scoperto leggendo un’intervista al compositore britannico John Powell, famoso per essere l’autore delle colonne sonore di una serie infinita di film (l’unico che mi prenderò la briga di citare è Shrek), sul perché le cornamuse fanno piangere: “Oltre a scandire la marcia, quel frastuono infernale serviva anche a coprire le urla dei compagni massacrati”. Mentre la tromba scatena la guerra, la cornamusa cerca di cancellarla.
È uno dei motivi per i quali all’inizio del secolo scorso i comandi dell’esercito britannico decidono che è il momento di smetterla di portare le cornamuse sui campi di battaglia; questo, e il fatto che il tutti i cornamusieri finiscono sistematicamente per essere ammazzati - con l’aumentare della tecnologia bellica andare in giro con una cazzo di cornamusa non è l’idea migliore che ti possa venire in mente, come potete immaginare. Le perdite ingenti tra i pipers durante la Prima guerra mondiale convincono chi dovevano convincere a rinunciare alle cornamuse anche tra i reparti scozzesi; ci riprovano durante la battaglia di El Alamein nell’ottobre del ‘43, più che altro per guidare i soldati che avevano perso il proprio reggimento: anche qui muoiono come mosche, e sembra l’ultimo chiodo sulla bara di quella che sembrava a tutti gli effetti una meravigliosa e commovente idea di merda.
Fino a quando Bill Millin non mise piede su una spiaggia tra Ouistreham e Saint-Aubin-sur-Mer, in Normandia, che gli ideatori dell’Operazione Overlord avevano ribattezzato Sword Beach. Bill era lì perché qualche anno prima Hitler aveva invaso la Polonia etc. etc. etc., ma quello che conta ora è il fatto che Bill era lì in qualità di cornamusiere personale di Simon Fraser, XV Lord Lovat - titolo nobiliare scozzese, ce l’ha chi è a capo del Clan Fraser di Lovat - e a capo del 1st Special Service Brigade nel contesto dello sbarco in Normandia. Come si capisce dal cognome e dal titolo nobiliare, Fraser combatteva per Londra ma era un uomo fatto e finito dell’Inverness-shire; quando si avvicina a Bill per chiedergli di mettersi il kilt, portarsi dietro la cornamusa e iniziare a suonarla non appena raggiunta la spiaggia francese, riceve come risposta il compitino che il ragazzo aveva studiato a casa: “Signore, l’utilizzo delle cornamuse nei campi di battaglia è stato vietato dal War Office di Londra”. “Ah, il War Office di Londra”, risponde Fraser, “siamo fortunati allora: noi siamo scozzesi e abbiamo altre regole”.
Bill suona canzoni bellissime: Highland Laddie, The Road to the Isles e All The Blue Bonnets Are Over the Border. Le suona più forte che può, in modo da non sentire le urla dei suoi amici che muoiono a pochi metri da lui. Le suona ad occhi chiusi, la mente alla sua mamma e ai campi che ha dietro casa ed il kilt zuppo di sangue. Sangue di tutti, tranne che suo. L’uomo che era sceso all’inferno con niente in mano se non una cornamusa era anche l’unico che ne era uscito illeso. In un’intervista al The Economist Millin disse che non si preoccupò neanche per un secondo di morire perché “suonare era troppo bello” e non si può morire mentre si suona la cornamusa. Vallo a dire ai cretini esplosi ad El Alamein, Bill. In realtà la versione più convincente arriva da un gruppo di soldati tedeschi catturati dagli uomini di Fraser nei giorni successivi allo sbarco. Lo avevano tenuto nel mirino per tutto il tempo, ma nessun tedesco aveva avuto il coraggio di sparare ad un povero pazzo che suonava la cornamusa all’inferno.
Il punto, a pensarci bene, è per chi suonava la cornamusa Bill. Non per la Gran Bretagna, non per l’offensiva su Parigi, non per Churchill, non per Giorgio VI; nemmeno per Simon Fraser, o la Scozia, o sé stesso. Per i suoi compagni e commilitoni che cadevano su quella sabbia fine e venivano portati via dalle onde. Per la gente intorno a lui che moriva e sarebbe stato un peccato se fosse morta senza ascoltare un’ultima volta la cornamusa. Per i suoi compagni e commilitoni che erano all’inferno senza cornamusa, ma con un inutile fucile. Che avevano bisogno di ricordarsi di un buon motivo per provare a rimanere vivi. Tom Duncan, che quel giorno era insieme a Bill, in un’intervista rilasciata molti anni dopo disse che “non mi scorderò mai il suono di quella cornamusa, ci ha ricordato casa. Ci siamo ricordati di noi stessi e dei nostri cari”. Solo una cornamusa, solo il ricordo di cosa non è inferno, può far scordare l’inferno.
Ciao raga, due righe per dirvi che alla fine mi son deciso e ho fatto le magliette della newsletter. Sono venute carine, spero piacciano anche a voi. Qui trovate la maglia nera, qui invece quella grigia. Vi allego le foto!
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