e perciò noi gridiam: viva topolin!
storia di un pomeriggio orribile di un imperatore giapponese.
Io ci rimasi malissimo, ma misi sù la faccia da cazzo più da cazzo che io sia mai riuscito a mettere sù e le dissi che effettivamente aveva ragione lei. La guardai negli occhi e le dissi, mentre dentro di me volevo ridere e morire nella stessa identica misura, che la parte di My Love Song di Noyz Narcos che dice “voglio sentì quanto sei maleducata (dai, dai, dai) / tu non c'hai idea quanto me manni in fissa / quanno te presenti così fica, pari la Madonna crocifissa / scoppia una rissa dentro al club / quando muovi il culo sopra il clap / baby, tu mi fai viaggiare più del crack” era effettivamente una bella dedica d’amore.
La persona con la quale stavo parlando era una ragazza che ho frequentato qualche mese quando io avevo venti anni e lei un paio di meno. Lei aveva l’odiosa abitudine di parlare del suo ex fidanzato abbastanza in continuazione; questo, pochi mesi dopo, portò all’odiosa decisione di mollarmi per tornare con il suo ex fidanzato. In uno di questi momenti mi ricordo disse di quando, dopo una loro litigata, lui le avesse dedicato i versi di Noyz Narcos che vi ho riportato prima. Scoppiai a ridere pensando fosse un momento “pensa con che razza di coglione stavo prima di conoscere tu, luce dei miei occhi”, ma lei rimase seria. Mi disse che erano dei bellissimi versi, e che a lei erano piaciuti molto. Io a quel punto pensai due cose. La prima: “perché sta avvenendo questa conversazione?”; la seconda: “AAAAAAAAAAAAAAAA”.
Alla fine, come vi ho detto, ho sorriso e ho detto che sì, erano dei versi davvero belli. Se fossi stato onesto le avrei detto che a Roma solo Primo Brown, che lui era uno psicopatico per dire alla sua innamorata che lo fa viaggiare più del crack e che lei era un’imbecille per non aver riso fortissimo all’espressione pari la Madonna crocifissa. Forse però, più di tutto, mi scoprii triste. Non vi nego che fece male, che io cercavo solo validazione da una ragazza con un bel visino e mi ritrovai sbattuta in faccia la realtà che stavo gareggiando per la sua attenzione contro un qualcuno che non solo stava vincendo (l’idea di lui occupava una buona parte del nostro tempo insieme), ma che non si stava neanche impegnando. Mentre io ero un grande e le dedicavo le seghe mentali che Cyrano de Bergerac si faceva su Rossana questo cretino le diceva che scoppia una rissa dentro al club quando muovi il culo sopra il clap. Una bella umiliazione, insomma. Però pensai che perlomeno quella roba non stava accadendo mentre una banda con decine di musicisti suonava la marcia di Topolino per prendermi per il culo.
La roba della marcia di Topolino è una delle 5 Grandi Differenze tra me e l’Imperatore giapponese dalla fine degli anni Venti al 1989, Hirohito. Se io infatti dovetti attraversare quelle forche caudine con accento romano senza una banda tutta impettita che suona la Mickey Mouse March di Jimie Dodd, la storia di un pomeriggio del 1975 vissuto da Hirohito ci racconta tutta un’altra storia. Ad ogni modo, per dovere di cronaca ecco le rimanenti 4 Grandi Differenze tra me e Hirohito: 1) a differenza di me, Hirohito era un Imperatore giapponese; 2) a differenza di me, Hirohito non ha 920 ore di gioco su Football Manager 2012; 3) a differenza di me, Hirohito ha una innegabile responsabilità in crimini contro l’umanità; 4) a differenza di me, Hirohito non ha mai sviluppato un culto della personalità riguardante Philip Rosenthal.
Per parlare del pomeriggio del quale vi ho anticipato dobbiamo prima parlare di una mattina, quella del 2 settembre 1945. Siamo nella baia di Tokyo, precisamente a bordo della nave corazzata USS Missouri. La Seconda guerra mondiale in Europa era già finita da un pezzo: Mussolini era stato appeso 4 mesi prima, Hitler si era ammazzato due giorni dopo il collega e la Germania si era arresa senza condizioni la settimana successiva. Con il Giappone la situazione stava andando per le lunghe e per convincerli che anche basta così agli Stati Uniti erano servite due bombe atomiche in più del necessario, che era zero. Ed è così che si arrivò a quella mattinata di inizio settembre, quando i rappresentanti di Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Unione Sovietica, Australia, Canada, Francia, Paesi Bassi e Nuova Zelanda si erano riuniti per un eventino da nulla: il ministro degli esteri Mamoru Shigemitsu ed il generale Yoshijimiro Umezu avrebbero firmato l’atto di resa del Giappone.
Hirohito non era presente alla cerimonia (c’aveva judo, evidentemente), lui la sua parte l’aveva già fatta un mese prima. Su pressione di Truman, Churchill e Stalin e dopo due bombe atomiche Hirohito accettò che era finita, che il Giappone aveva perso la guerra e ora sarebbe stato un casino per tutti. Aveva poi dovuto registrare un messaggio alla nazione da far passare in radio nel quale dice che “se dovessimo continuare a combattere, si verificherebbero non solo il completo collasso e l’obliterazione del Giappone, ma anche la fine della civiltà umana”. E quindi la finiamo qui, che è meglio. Ad ogni modo nessuno capì un granché: la registrazione era di qualità infima e Hirohito parlava un giapponese arcaico, diverso da quello che parlava quella gente comune che sentiva la sua voce per la prima volta. Questo era lo strano inchiostro con il quale era stata firmata la resa del 2 ottobre.
Con la fine della guerra, la distruzione del sogno di un Giappone egemone e autoritario in tutta l’Asia e l’inizio dell’occupazione militare statunitense Hirohito è costretto a fare cose sgradevoli. Ad esempio agli occupanti non piace che la gente pensi Hirohito come un Dio, e sarebbe toccato proprio a lui far dare ai suoi sudditi una calmatina. Il fatto della natura divina dell’Imperatore era stato una delle credenze che avevano giocato un ruolo più importante durante lo sforzo bellico giapponese, quell’avventura che aveva costellato tutta l’Asia di crimini di guerra e che era terminata con l’occupazione militare del paese da parte degli Stati Uniti. Questa teoria poteva essere declinata in diverse maniere - Hirohito era un Dio, Hirohito era l’incarnazione ma non la manifestazione di un Dio, Hirohito e il suo popolo erano divinità, Hirohito non era proprio un Dio ma un discendente della Dea del Sole Amaterasu - e agli statunitensi non piaceva nessuna di queste.
Anche Hirohito stesso era convinto di essere una divinità. Il ricercatore dell’East Asia Institute di Ludwigshafen, l’americano Peter Wetzler, riporta una conversazione con il vice gran ciambellano Michio Kinoshita dove dice che “è ammissibile pensare che i giapponesi come popolo non discendano dalle divinità, ma non è accettabile negare la natura divina dell’Imperatore”1. E va bene, ma questo non lo rendeva una capo di Stato sconfitto di meno. Le sue divinità - e quelle dei giapponesi per molti anni a venire - a questo punto erano gli Stati Uniti d’America. Hirohito quindi dovette prestarsi a quella che passerà alla storia come la dichiarazione della natura umana dell’Imperatore, e lo fece all’interno del discorso di fine anno del 1946. Sempre in questo contesto è il tour di due anni che tra il 1946 ed il 1948 lo vide visitare decine di città giapponesi: oltre a constatare i danni della guerra e a mostrare vicinanza alla popolazione uno degli obiettivi era anche spiegare alla gente la sua natura umana.
E poi, anche quando sei un Dio e poi smetti di essere un Dio e diventi un essere umano, la vita continua. Sempre, con te o senza di te. E fai meglio rimettere insieme i pezzi alla svelta se vuoi che sia con te. La vita va avanti e il Giappone ora ha una costituzione dettata dagli americani, il suo esercito viene smantellato, il suo Imperatore non è più il cugino alla lontana della Dea del Sole ma un cretino qualsiasi e le sue mire di dominio sull’Asia sono state polverizzate. Che è una buona notizia per il mondo, ma anche una roba che ti lascia un vuoto dentro. È l’opposto di Bad and Boujee dei Migos: from somethin’ to nothin’. Fino a quel pomeriggio del 1975 al quale giriamo intorno dall’inizio di questo pezzo. Che, più che i Migos, è Snoop Dogg che fa la pubblicità per la Corona e rappa insieme a Andy Samberg.
Durante una visita negli Stati Uniti Hirohito e la moglie Nagako vengono invitati a Disneyland in California. I momenti della coppia in visita sono raccapriccianti, un incidente in autostrada che non puoi smettere di fissare. La donna sembra onestamente divertita, Hirohito lancia qualche sorrisino ma l’impressione è che dentro muoia ad ogni messicano sottopagato dentro un pupazzo di Topolino che gli si presenti davanti. E quindi spesso, spessissimo. I Topolino sono un esercito, seguiti dai Paperino, i Pluto, i Sette Nani e tutti gli altri personaggi della Disney. Quando Hirohito si muove c’è una banda musicale che lo segue e suona per lui la Marcia di Topolino. Quando l’Imperatore firma il libro delle visite, sembra una riproposizione della firma della resa incondizionata. Solo che questa volta c’è anche Hirohito, con accanto un Topolino che non la smette di salutare il pubblico divertito.
Viene da pensare che la storia si ripeta due volte, come diceva Marx: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Ma viene da pensare anche a Milan Kundera quando racconta della morte del figlio di Stalin, Jakov. Kundera riprende un articolo del Sunday Times pieno di inesattezze, nel quale si dice che dopo esser stato fatto prigioniero dai tedeschi si trova a litigare con altri prigionieri britannici riguardo allo stato delle latrine, che a quanto pare Jakov lasciava sempre piene di merda. A questo punto il figlio di Stalin perde la testa e si tira contro il filo spinato, morendo in questo modo. Probabilmente morì ammazzato dai tedeschi dopo che il padre - che aveva sempre avuto una considerazione pessima del figlio, al limite del disprezzo - si rifiutò di scambiarlo con dei prigionieri tedeschi di grado più alto del suo, ma in questa storia la verità è inopportuna.
È inopportuna perché il presunto suicidio di Jakov è necessario in questo mondo, ci sbatte in faccia una domanda necessaria a sopravvivere: “Lui che porta sulle spalle il dramma più sublime che si possa immaginare (era allo stesso tempo figlio di Dio e angelo caduto) deve forse adesso essere giudicato non per cose elevate (che abbiano a che fare con Dio e gli angeli) ma per della merda? Sono dunque così vicini il dramma più eccelso e quello più infimo?”. Sì, risponde Kundera. Sono così vicini e per questo danno le vertigini. “Quando il polo Nord si avvicinerà al polo Sud fin quasi a toccarlo, il globo terrestre scomparirà e l'uomo si troverà in un vuoto che gli farà girare la testa e lo farà cedere alla seduzione di cadere”2.
Jakov Stalin che muore per della merda, a quel punto, è l’unica cosa sensata in un mondo senza senso. È per questo che a me Hirohito a Disneyland più che ridere mi fa girare la testa: la guardia d’onore dei Sette Nani ad un Imperatore giapponese, la musica di Topolino ad ogni passo, la firma che sembra quella sulla USS Missouri con Topolino al posto del generale Richard K. Sutherland, Hirohito che passa in rassegna i pupazzi. Mi sento cadere, ma non mi spaventa. L’unica cosa che mi spaventa è Hirohito che se ne sta lì, e ogni tanto sorride pure. È quando il Polo Nord tocca il Polo Sud senza conseguenze, che mi fa paura. È il non correre verso il filo spinato. Corri, Hirohito, cristo santo. Anche se il cancello è chiuso.
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P. Wetzler, Hirohito and War. Imperial Tradition and Military Decision Making in Prewar Japan, University of Hawaii Press, Honolulu, 1998, p. 3.
M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi, Milano, 1989.
Sei spaziale, non ho altro da aggiungere.
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