perchè è lì, non la vedi?
senso della realtà e senso della storia nel programma spaziale zambiano.
L’argomento del quale vorrei parlarvi oggi mi terrorizza, e ho scritto questa introduzione almeno quattro o cinque volte. Alla fine ho deciso di cancellarla totalmente e di fare come solitamente si fa quando una cosa ci fa paura ma dobbiamo farla lo stesso, tipo levarci un dente: farla velocemente, sperando che sia indolore. Che poi non so se ha senso questa cosa, forse è un’idiozia. Però lo fanno tutti. E allora se tutti si buttassero giù da un burrone, tu ti butteresti giù da un burrone?, mi chiederebbe mia mamma dopo una riflessione del genere. Non lo so, mia dolce mamma, nell’universo parallelo nel quale io e gli altri ci buttiamo giù da un burrone Giorgia Meloni supera il 20% nei sondaggi elettorali? Faccio per dire. Partire dal presupposto che un gruppo di persone che decide di buttarsi giù da un burrone sia un gruppo di persone stupide mi sembra una base di partenza scorretta per un’analisi del fenomeno.
Comunque, leviamoci questo dente: la storia alla quale penso tipo sempre ultimamente è la storia del programma spaziale zambiano, che voleva mandare un uomo sulla luna entro il 1965 (i piani degli Stati Uniti d’America, i primi ad arrivarci davvero sulla luna, erano di farlo entro il 1970; ci sono riusciti nel 1969). È la storia di un paese, appunto lo Zambia, che fino al 1964 era tutta un’altra cosa: era la Rhodesia Settentrionale, un protettorato dell’Impero Britannico. Se dovessi parlare a qualcuno dell’indipendenza dello Zambia (e succede, solitamente ad aperitivi con modelle che finiscono in folli notti d’amore), parlerei di Edward Mukuka Nkoloso, un uomo zambiano innamoratosi della scienza durante il suo servizio nei King’s African Rifles1 e autoproclamatosi direttore della neonata National Academy of Science, Space Research and Philosophy zambiana una volta che il suo paese aveva raggiunto l’indipendenza. Un uomo alla quale questa irriverente e stupida presentazione non rende giustizia, chiaramente: un uomo che insegnava latino e matematica ai bambini zambiani mentre era osteggiato dall’allora governo coloniale e dai capi tribù, praticando azioni di disobbedienza civile verso entrambi i poteri. Un uomo al quale hanno incarcerato ed al quale hanno ucciso familiari in prigione2. Un uomo da prendere seriamente.
Tornando a questa strana storia di uno zambiano sulla luna, ma tenendo ben presente il fatto che l’ideatore di questo progetto non era un pazzo o un coglione, di tutto ciò ne sappiamo davvero poco. La maggior parte delle cose le sappiamo da un articolo del Time3 dell’ottobre 1964 ed un’intervista con un giornalista inglese di ITV nel novembre dello stesso anno, grazie alla quale possiamo anche vedere il training di questi aspiranti astronauti, presto per tutti afronauti: sappiamo che non stavano particolarmente simpatici al governo zambiano, che la loro navicella sarebbe dovuta partire da Lusaka, che si stavano preparando al lancio in una vecchia fattoria abbandonata, che erano convinti di essere sottovalutati da Stati Uniti e Unione Sovietica e che erano apparentemente sicuri di quello che stavano facendo. Sono gli unici dettagli che conosciamo, dal momento che non si voleva rivelare i segreti delle tecnologie zambiane a nazioni rivali nella corsa alla spazio.
Non è finita: Nkoloso stava preparando dodici afronauti ed un cane (Cyclops, il cane di Nkoloso), forse affascinato dal mito vittimario del cane sovietico Laika. Godfrey Mwango, 21 anni, sarebbe stato quello che avrebbe piantato la bandiera dello Zambia sulla luna prima di tutte le altre nazioni; Matha Mwamba, 16 anni, sarebbe andata su Marte. Il resto sarebbe stato in panchina per questi primi due lanci, poi si sarebbe valutato come buttava la situazione. Bravi ragazzi e brave ragazze, ma ai quali servivano soldi per trasformare quella che potremmo chiamare una naturale ambizione umana al cielo come limite; forse, adottando e parafrasando un’espressione che Steiner4 dedicava al comunismo, il più grande complimento mai fatto all’essere umano. Nkoloso chiese un aiuto economico a chiunque, da Israele agli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica all’UNESCO. Non arriverà mai niente, tranne 10 rupie spedite per posta da un ragazzino indiano con la fissa dello spazio5. I lanci non superarono mai i 2 metri di gittata (1,83, ad esser precisi; il sistema di lancio era essenzialmente una catapulta improvvisata), gli afronauti iniziarono a darsela a gambe uno dopo l’altro (uno si sbronzò una sera e sparì, un altro si unì ad un gruppo musicale di un tribù della zona), il programma venne posticipato e posticipato fino a quando la gente se ne dimenticò, nessuno zambiano mise mai piede sulla luna, nessuna zambiana su Marte. Per tutti, Nkoloso diventò l’idiota del villaggio. Perchè mi spaventava raccontarvi questa storia?
La paranoia numero uno è io che devo scrivere di gente che non sia occidentale. Questo lo trovo un campo minato molto pericoloso; non perchè io abbia paura di una fantomatica dittatura del politicamente corretto che pesi le mie parole, non sono un frignone reazionario. Perchè, piuttosto, sono profondamente convinto dell’autonarrazione delle comunità di individui, divisi questi per genere, orientamento sessuale, quantità di melanina presente nella cute, classe o nazionalità. Sono le donne a dover raccontare le disparità di genere, sono gli omosessuali a dover raccontare le discriminazioni, sono gli africani a dover raccontare il colonialismo; il punto è avere tutti e tutte lo stesso tempo a disposizione sul palco con un microfono in mano. Io, per esempio, da maschio bianco eterosessuale piccolo-borghese con manìe di controllo e tendenze autoritarie ogni qualvolta un minimo potere decisionale si accentri nelle mie mani, mi sento di poter raccontare adeguatamente gli anni ‘30 e ‘40 europei. Questo perchè ritengo di avere qualcosa in comune con questa gente, forse il germe del male. Besties! Viva noi! Go boyzzzzz!
La paranoia numero due, invece, è voi che ridete di questo:
Lo so che fa ridere, chiaramente. Fa molto ridere, tanto che per diversi (tipo il vecchio presidente dello Zambia Kenneth Kaunda6) si è trattato di uno scherzo. Come fai a non pensarci? Che programma spaziale serio è quello nei quali sono coinvolti dei barili, delle altalene, dei piatti da tavola? A Matha Mwamba, durante la preparazione al lancio, venne chiesto di prendersi cura di alcuni gatti in modo che alcuni di questi potessero essere usati una volta sbarcata su Marte per assicurarsi della situazione a livello di ossigeno (se il gatto vive: bene; se il gatto muore: male). Arthur Hoppe, giornalista del San Francisco Chronicle, raccontava che c’erano stati problemi con la preparazione di Godfrey Mwango ad un eventuale atterraggio sull’acqua perchè non sapeva nuotare; un altro giornalista raccontava di quando Mwango si disse “pronto per andare su Marte”. “No, Godfrey. Tu vai sulla luna. La ragazza va su Marte”, lo corresse Nkoloso7. Fa molto ridere, come dicevo. Anche se un po’ ve lo meritate Alberto Sordi.
Il motivo per il quale ve ne ho parlato, però, non è farvi ridere. Neanche raccontarvi un fatto storico; come avrete notato, qui più che analisi storica si prova a fornire chiavi di lettura particolari ad eventi storici particolari. Quali sono le chiavi di lettura di un evento del genere, allora? Prima di tutto quelle che vanno oltre l’idea dello scherzo. Quello che dice che in realtà era una messinscena per addestrare dei guerriglieri da inviare in giro per l’Africa non è male, per esempio. In quel caso l’obiettivo era una raccolta fondi da gente e istituzioni straniere mosse dalla simpatia verso questi strambi astronauti; come abbiamo visto, a livello economico la faccenda fu un disastro. Mi è piaciuta molto, poi, quella del già citato Arthur Hoppe, che quando tornò in patria si trovò pieno di lettere risentite contro i suoi articoli che - a dire dei lettori innervositi - si prendevano gioco degli africani “uneducated”. Hoppe ci rimase un po’ di sasso, dicendo che per lui era il contrario forse: erano gli africani che si stavano prendendo gioco - attraverso la parodia - della corsa allo spazio tra noi ed i sovietici. Namwali Serpell, scrittrice zambiano-americana che ha scritto un bellissimo pezzo per il New Yorker sul tema, integra Hoppe con Martin Luther King Jr.:
If our nation can spend 35 billion dollars a year to fight an unjust, evil war in Vietnam, and 20 billion dollars to put a man on the moon, it can spend billions of dollars to put God's children on their own two feet right here on earth.
Gli spunti sulle immorali priorità del capitalistico mondo dei bianchi, visto da un paese africano, sono tanti e interessantissimi; si potrebbe integrarlo con gli studi sugli sguardi di Fanon8 e Foucault9, ma qui stiamo cercando altro. Stiamo cercando di collocare tutto ciò nella storia, o Storia, mettete la S come volete. In una corsa allo spazio, che ruolo hanno dei gatti? Nel processo di independenza di un paese africano, che ruolo ha lo spazio?
Mi viene in mente Esi Edugyan, scrittrice e poetessa afrocanadese, quando dice di essere rimasta spiazzata da navicelle spaziali accanto a baobab, o dal dubbio se quello sia un paesaggio della savana o lunare. È il dubbio, molto più della risata, quello che ha lasciato a Edugyan e me questa storia. Il dubbio sull’esserci o farci, sull’amabile dilettantismo o un centro di addestramento per freedom fighters, sulla serietà o lo scherzo. Il dubbio sul ruolo nella Storia, infine. Perchè sembra sfuggevole, non totalmente reale. E mi sento di essere d’accordo con lei, quando dice di aver smarrito il senso della realtà ed il “sense of history” confrontandosi con questa cosa. È qui che si totalizza il tutto, che diventa chiaro. Abbiamo cercato di trovare un posto a tutto ciò secondo schemi inadeguati, dato che si è sempre trattato di essere fuori: fuori dalla corsa allo spazio, fuori dal potere economico-politico che ti fa accedere alla corsa allo spazio, fuori dalla Guerra Fredda, fuori dai normali processi di indipendenza dei paesi africani, fuori dalla Storia.
Fuori dalla stratosfera, forse? Forse.
Forse su Marte, forse sulla luna. Quando un giornalista occidentale chiese a Nkoloso perchè volesse raggiungere la luna lui rispose secco: “perchè è lì, non la vedi?”
Corpo militare britannico con soldati provenienti dalle colonie africane; combatterono in entrambe le guerre mondiali, Nkoloso nella Seconda.
E. Edugyan, Out of The Sun: Essays at the Crossroads of Race, Serpent’s Tail, London, 2022.
G. Steiner, Il correttore, Garzanti, Milano, 1999.
N. Serpell, The Zambian “Afronaut” Who Wanted to Join the Space Race, The New Yorker, 11 marzo 2017.
ibidem.
S. Silverman, puntata 137 del podcast Useless Information, 28 luglio 2020.
F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, Edizioni ETS, Pisa, 2015.
M. Foucault, Nascita della clinica, Einaudi, Torino, 1969.