pravda, che tradotto significa verità.
le risse a fifa, banjo the riot elephant e i soldati del liechtenstein.
Prima, mentre facevo la doccia, ho pensato ad una cosa alla quale non pensavo da tempo. Era una doccia come le altre, e per una doccia come le altre intendo passata a fare mosse da b-boy con le mani a ritmo di 3 MC’s al cubo delle Sacre Scuole. Era il mio momento, il mio mondo, quella manciata di minuti giornalieri nella quale non penso alle cose in generale e non penso alle cose che rendono quel momento un’appropriazione di pratiche che non mi appartengono (sono sottopeso e l’unica volta nella quale ho messo piede fuori dall’Europa mi hanno rapinato due volte in due giorni, quelli come me dovrebbero ascoltare solo i Nu Genea e andarsene a fare in culo per sempre). Me lo stavo godendo.
Mi insaponavo mentre aspettavo che passassero quel paio di minuti dei quali il balsamo ha bisogno per fare effetto e la mia giornata toccava il suo picco con l’entrata della strofa di Dargen in Tempo Critico, con quella base pazzesca con Africa dei Toto campionata che rallenta e si zittisce quasi del tutto per rendere omaggio ad una delle entrate più fighe della storia del rap italiano. Facevo questo e poi ho pensato ad un dialogo del primo Assassin’s Creed, in uno dei momenti che noi e Desmond Diamond vediamo attraverso l’Animus, una roba in grado di mostrare le memorie genetiche del Mentore Altaïr Ibn-La'Ahad. Se non avete la minima idea di cosa sto dicendo andate in pace e state tranquilli che questa non è una puntata sui videogiochi.
Ad ogni modo, il dialogo. È un dialogo tra due dei personaggi più importanti dell’Ordine degli Assassini (una setta ismailitica attiva in Persia e Siria all’inizio dell’XI secolo e l’ispirazione per gli sviluppatori di Assassin’s Creed), Altaïr e Al-Mulain, il Mentore del Mentore. È un dialogo surreale, perché è il Maestro a fare delle domande e l’Allievo e rispondere. “Qual è la verità?”, chiede Al Mulain. “Abbiamo fede in noi stessi. Vediamo il mondo per ciò che davvero è, sperando che un giorno l'umanità possa vederlo come noi” “Cos'è il mondo, allora?” “Un'illusione alla quale sottomettersi, come fanno molti, o da trascendere” “Che significa trascendere?” “Riconoscere che niente è reale e tutto è lecito. Che le leggi non vengono dalla divinità, ma dalla ragione. Ora capisco che il nostro credo non ci comanda di essere liberi: ci comanda di essere saggi.”
È un po’ di giorni che penso a ciò che è reale e ciò che è lecito, e lo faccio perché la scorsa settimana internet ci ha regalato l’ennesima polemica che ha attaccato grandi e piccino a quegli schermi dove il grande circo chiamato world wide web si esibisce sette giorni su sette ventiquattro ore su ventiquattro. È una polemica che ridotta ai minimi termini vede Ridley Scott fare un film su Napoleone, e farlo con degli errori storici grossolani. Tipo, tra i diversi, Ridley Scott ha inserito una scena dove Napoleone spara alle piramidi durante la Campagna d’Egitto del 1798. Non è mai successo, e alcuni storici l’hanno fatto notare1. Ridley Scott ha detto loro di farsi una vita e di non rompere i coglioni.
La polemica è fastidiosa perché, a mio avviso, una polemica tra due posizioni reazionarie. Proprio come era una polemica fastidiosa perché una polemica tra due posizioni reazionarie quella tra Uber e i tassisti. Tipo quando giocano contro due squadre di calcio che ti stanno antipatiche e un po’ per scherzare un po’ no dici “tifo per più infortuni possibili”. Ridley Scott non è mai stato il più sveglio della cucciolata, e ora che ha 85 anni è anche mezzo legittimato a dire idiozie e ad essere una forza reazionaria. Stuzzicato da giornalisti e intervistatori che riportavano le polemiche, ad un certo punto ha scelto il chaos, ha iniziato a offendere rifiutandosi di elaborare oltre come ogni 85enne è tenuto a fare: “fatevi una vita”, “non rispondo alle polemiche perché dovreste censurare quel che dico”, e poi la mia preferita: “ma cosa ne sanno gli storici di Napoleone? Erano lì con lui?”. Ha anche detto che farà Il Gladiatore 2. Speriamo che qualcuno lo fermi.
Per gli storici in questione (tra i quali anche bravi storici che intendono il mestiere di storico come secondo me andrebbe inteso, uno su tutti Dan Snow), la questione è un po’ diversa. Mentre Ridley Scott è una forza reazionaria in sé, chi ha sentito il bisogno di denunciare il falso di Scott ha semplicemente assunto posizioni reazionarie, probabilmente per spirito di conservazione. Voler incatenare Hollywood alla verità storica, voler attribuire una funzione documentaristica e educativa ad un film costruito con lo scopo di gasare e vendere, fare la predica a Scott perché decide di ambientare una battaglia passata alla storia come la battaglia delle Piramidi (1798, vittoria di Napoleone sui neo-mamelucchi) ai piedi delle piramidi, e non a qualche chilometro di distanza come effettivamente avvenne, sono posizioni che fanno cascare le palle e, in ultima analisi, posizioni reazionarie. Ma non reazionarie ad un qualcosa che sta succedendo adesso, bensì reazionarie al concetto di intrattenimento sviluppatosi probabilmente all’alba dei tempi (Watteau e Kossak dipinsero la battaglia delle piramidi ai piedi delle piramidi già il giorno dopo la battaglia).
L’altro giorno stavo pranzando con la mia ragazza e lei stava spalmando un patè di carne su un pezzo di pane. Questo patè era confezionato in maniera orribile, compresso in una plasticaccia che dava al patè la forma di un insaccato. Io le ho detto (in inglese, perché la mia ragazza non è italiana) che era uno schifo e che trovavo quel patè “aesthetically challenging”. Lei mi ha guardato e glaciale mi ha detto che in un mondo con guerre, morte, distruzione e violenza ad ogni angolo io stavo definendo “aesthetically challenging” un patè, e che mi sarei dovuto vergognare per questo. Aveva ragione, e infatti dopo mi sono vergognato. Vorrei che si vergognasse alla stessa identica maniera anche chi ha preso parte alla polemica su Napoleone che in realtà non ha mai sparato alle piramidi.
Lungi da me, quindi, voler prendere parte a questa polemica. Ho giocato tutte le mie carte "parlare-del-nulla-mentre-il-mondo-ci-crolla-sotto-i-piedi” con il patè, e se devo essere sincero il film neanche l’ho ancora visto. Mentre facevo la doccia e mentre Dargen mi regalava per l’ennesima volta “accusato di paure immaginarie, testimone marginale / ho visto cose che voi umani non potreste immaginare” io in realtà non stavo pensando al dialogo tra Altaïr e Al-Mulain, o a Ridley Scott che reagisce a delle sterili ma legittime e spesso educate critiche come si reagiva a 13 anni quando ti accusavano di avere una fidanzatina, pensavo alle storie false che ho creduto vere e al risentimento che ho provato verso la Verità dopo che tutto era stato ristabilito come reale e niente come legittimo, dopo che Ridley Scott ha spostato la battaglia a quella quindicina di kilometri dalle piramidi e ora la scena clou è una merda.
Devo ammettere di essere predisposto caratterialmente a credere alle cose che mi piacerebbe fossero vere, e questo tante volte è stato un problema e fonte di dolore. Avevo dieci anni o giù di lì e stavo giocando a FIFA in salotto. Mentre giocavo passa mio babbo, sceglie di creare il chaos e fa “Ale, ma perché non fai picchiare i giocatori tra loro?” Io, estasiato dall’idea dell’opzione-risse su FIFA, chiedo di più. Lui inizia a fare il prezioso, non me lo vuole dire, dice che lo devo trovare da solo perché quello è il bello, e io inizio a piangere tantissimo. Avevo preso in considerazione la possibilità di far scoppiare risse su FIFA solo una manciata di minuti prima, e ora non potevo neanche contemplare una vita senza. Mi dispero, scorro ossessivamente le opzioni nel menù ma non trovo niente, poi mio padre che è un brav’uomo e non un sadico dopo tipo 5 minuti ne ha abbastanza e mi dice che era uno scherzo, che non c’è nessun motivo di reagire così. Piano piano tutto torna nella normalità, poi anni dopo leggo di uno degli equivalenti storici dell’opzione-risse su FIFA: l’esercito del Liechtenstein nella guerra Austro-Prussiana del 1866.
Il minuscolo Principato del Liechtenstein partecipava alla guerra al fianco della Confederazione germanica e dell’Austria contro la Prussia, il Regno d’Italia ed i loro alleati. Militarmente il Liechtenstein era quello che vi potete immaginare, e quindi - nonostante avesse giocato un ruolo non secondario nell’escalation che portò alla guerra - i suoi ottanta soldati vennero mandati a sorvegliare un punto relativamente tranquillo del passo del Brennero, tra Austria e Italia. I tipacci non ebbero mai l’opportunità di combattere, e tornarono a casa senza colpo ferire. Anzi, c’è di più. Partirono ottanta e tornarono ottantuno, perché mentre erano lì a cazzeggiare fecero amicizia con soldato italiano (o austriaco, qui la storia cambia a seconda della fonte2) che decise di mollare tutto e tornare con loro a Vaduz. Partire in ottanta, tornare in ottantuno. La storia è pazzesca e ti viene voglia di crederci (lo ha fatto anche la Lonely Planet, che l’ha inserita in una sua guida), ma con ogni probabilità è una leggenda. Ci direbbe tanto della guerra e dell’assurdità dell’inimicizia tra gli uomini, ma non lo fa. Una cosa vera e bella su quella guerra però è che mentre tutte le altre potenze firmarono una pace nell’agosto 1866, Prussia e Liechtenstein non lo fecero mai e tecnicamente sono in guerra tutt’oggi (come Turchia e San Marino, che si scordarono di firmare il trattato di pace alla fine della Prima guerra mondiale).
Un’altra storia alla quale ho creduto e che ha fatto male dover lasciare andare è la storia di un mio grande amore, l’Irlanda del Nord e la sua gente e le sue lotte, di un elefante e di una foto. Questa foto:
Quello che possiamo vedere è una foto di scontri di piazza tra militari britannici e repubblicani, uno dei tanti scontri di piazza che nella Belfast degli anni ‘70 erano all’ordine del giorno. Trovai questa immagine su internet nel 2016, e chiaramente impazzii. La persona che me l’aveva mandata faceva riferimento al nome dell’elefante Banjo (conosciuto come The Riot Elephant), e al fatto che fosse stata scattata a Belfast. Da lì iniziano i 5 minuti più belli della mia vita, i 5 minuti dove voglio sapere tutto quello che è possibile sapere su Banjo e sull’uso di ELEFANTI durante i Troubles in Irlanda del Nord. Cinque minuti, perché dopo quei trecento secondi mi risponde Shaun, un ragazzo di Derry con il quale al tempo mi sentivo quotidianamente, e mi dice che è una bellissima foto ma ovviamente falsa. Mi dice di zoommare vicino all’elefante, che c’è anche Noam Chomsky (oltre al fatto che uno dei soldati è senza testa).
La foto è stata creata da Séamas O'Reilly ed un suo amico, Michael, ed è stata pubblicata originariamente sulla loro pagina Facebook “Remembering Ireland”, nella quale venivano postati fotomontaggi che giocavano con l’effetto nostalgia. Questa è stata pubblicata con la didascalia “Ultra rare shot of Noam Chomsky and Banjo The Riot Elephant at a Belfast disturbance c.1970.”, e lo stesso Séamas ne racconta la storia e l’evoluzione qui. Per quanto riguarda me, invece, non sarò mai più felice come quei 5 minuti nei quali ho creduto che Banjo The Riot Elephant fosse vero.
La storia dei soldati del Lichtenstein, dell’opzione per fare le risse su FIFA, di Banjo The Riot Elephant, la storia di tutti e di tutte noi insomma, è una storia di cose alle quali vuoi credere e che ad un certo punto non sai più se è più importante che siano vere o che siano lì, per te. Che ci sia almeno qualcosa. Quando ero a tavola e avevo 18 anni e vedevo qualcosa che mi faceva impazzire di rabbia al TG ed eruttavo in pipponi nei quali urlavo che ci vorrebbero i bolscevichi in questo Paese fallito, babbo mi diceva di calmarmi e che stavo parlando di cose delle quali sapevo niente. Per ridimensionarmi il comunismo mi diceva poi che nonno, quindi suo nonno e mio bisnonno, credeva che nelle fabbriche sovietiche venisse pompata aria di foresta attraverso un sistema di areazione voluto dal Partito. Glielo dicevano i rappresentanti di fabbrica del PCI nella sua di fabbrica e lui ci credeva, diceva babbo, nonostante non fosse uno stupido. Ci credeva perché le alternative a passare da imbecille e credere ad un’idiozia così grande erano troppo depressive.
Io ora non ho più 18 anni, non urlo (quasi) mai a tavola per politica e ho smesso di guardare la televisione. L’esperienza storica del comunismo sovietico continua ad essere un qualcosa che mi seduce e mi affascina e mi incuriosisce ogni giorno, ma i miei occhi sono occhi più consapevoli e più critici e meno creduloni. L’Unione Sovietica ha significato speranza, alternativa, riscatto ma anche repressione, violenza, ingiustizie. Ma in mezzo a questa repressione, a questa violenza, a queste ingiustizie, se proprio devo trovare un difetto che non mi va giù, un qualcosa che mi manda in bestia, è il nome del giornale di Partito: Pravda, che tradotto significa verità. Per quale motivo, scusate? Ma perché Trockij quando l’ha fondata nei primi anni del ‘900 ha scelto questo nome così bestiale, così cattivo, così reazionario, un nome che poi anche un Belpietro avrebbe scelto per il suo giornale più di un secolo dopo? Verità! Verità? Verità?? Ma fatti una vita, come direbbe giustamente Ridley Scott.
M. Guenot, Historians absolutely hate Ridley Scott's Napoleon movie, 27 novembre 2023, insider.com
M. Pappas, Liechtenstein’s Army Returned Home From War With More Men Than it Left With, 21 febbraio 2019, warhistoryonline.com
E comunque Napoleone che spara alle piramidi, è fichissimo