tre cose che mi piacciono più della DDR.
ovvero: i pinguini, il silenzio ed il non capire cosa succede.
Devo subito partire con due precisazioni, con voi voglio essere sincero, fin quasi trasparente. Precisazione numero uno: questo non è un pezzo di propaganda pro-DDR, figuriamoci. Tantomeno è un pezzo di propaganda di quel determinato comunismo morto e sepolto nel 1989, un comunismo che ha conosciuto aspetti drammatici fino alla distopia, che non è mai stato in grado di aprirsi al mondo, di convivere con questo. Che al mondo è riuscito a lasciare un’idea di sé limitata ad un… muro. Questo pezzo, però, non è neanche un pezzo di propaganda anticomunista. Figuriamoci. Mi viene in mente il cartello esposto nel 1991, a Germania Est già scomparsa, durante i lavori di rimozione di una statua di Lenin a Berlino: “vi fa paura anche quando è fatto di pietra?”. Voglio che sia chiaro che nessuna delle tre cose che mi piacciono più della DDR è la libertà individuale, il libero mercato o la Repubblica Federale Tedesca. Questo non è Open e io non sono Enrico Mentana. Ok? Ok.
Precisazione numero due: non sono solo tre le cose che mi piacciono più di quanto mi piaccia la Repubblica Democratica Tedesca, saranno tipo cinque o sei. Come ho scritto nel sottotitolo ci sono senza dubbio i pinguini, il silenzio ed il non capire cosa succede, ma c’è anche altro. Tipo la scena di The Office dove Michael vuole costruire una città di tubi di plastica in ufficio e farci vivere dei criceti, oppure il goal di Eric Cantona contro il Sunderland. E capace ce ne saranno un altro paio che ora non mi vengono in mente, è probabile. Però vabbè, nel titolo ho scritto tre perché volevo fare una roba ad effetto, suonava bene e le tre cose che ho scelto c’entrano con la storia che mi piacerebbe raccontarvi oggi. Ok? Ok.
Senza ombra di dubbio anche Werner Herzog mi piace tanto, devo ancora capire se più o meno di Erich Honecker, Presidente del Consiglio di Stato della Repubblica Democratica Tedesca, che chiude il discorso di auto-difesa nell’aula 700 del tribunale berlinese di Moabit, dopo aver sottolineato la natura politica e illegale di quel processo, con “fate dunque quello che non potete fare a meno di fare”. Mic drop. Piccola parentesi: i capi d’imputazione per quel processo, una roba che superava le 800 pagine di documenti, riguardavano l’ordine impartito alle guardie di confine di sparare a chi tentava di superare il muro e raggiungere la Germania Ovest, che richiamava per i vertici della Repubblica Democratica Tedesca una pesante responsabilità indiretta negli omicidi. Quelle morti erano vere, drammatiche, ingiuste e imperdonabili. Il processo invece era una farsa, un’inaccettabile giudizio politico verso uno Stato che non esisteva più, con imputato un uomo malato e con poco da vivere. Quali erano le responsabilità indirette di Walter Scheel, cancelliere federale della Germania Ovest, nel suicidio di Stato (e nella possibile violenza sessuale) della rivoluzionaria comunista Ulrike Meinhof nel 1976, mentre era detenuta nel carcere di Stoccarda? Nessuna, perché lui, a differenza di Honecker, ha vinto. Sì, tutto si basa su questo: che noia.
Non riesco a stare sulla traccia, la Germania Ovest mi innervosisce troppo. Ma ci provo, perché giuro che voglio arrivare velocemente a parlare di pinguini. Dicevamo di Werner Herzog, che mi piace da morire. Giusto. Encounters at the end of the world mi piace in particolare, è il suo lavoro che preferisco. È un documentario sugli uomini e le donne della stazione antartica McMurdo, sull’isola vulcanica di Ross. È famoso principalmente per la scena sul pinguino nichilista, che sceglie di andare nella direzione opposta a quella del suo branco, verso il nulla, la morte certa. È una scena che arriva forte, ma a me ne è arrivata forte anche un’altra. È l’intervista di Herzog a Stefan Pashov, un filosofo finito a muovere ruspe giganti in Antartide. “Come mai ci siamo incontrati qui, alla fine del mondo?”, chiede Herzog. “È un posto logico da scegliere per persone che vogliono uscire dai margini della mappa; e quindi ci incontriamo qui, dove tutte le linee che attraversano la mappa convergono”.
E allora non è una mappa, penso. Una mappa senza margini, “PhDs washing dishes, linguists on a continent with no languages”, dove tutto converge, è la negazione di ogni cosa. Tutto e il contrario di tutto. Di sicuro non è una mappa, mi ripeto, ed un posto non mappabile è un posto che esiste davvero? Non lo so, ci devo pensare. Ma se esiste un posto che non è mappa, che non è spazio, che è un tempo totalmente diverso da quello che lo conosciamo noi che non è neanche tempo, che non è Storia (perché la Storia altro non è che spazio + tempo), allora è da lì che vorrei assistere alla caduta del muro di Berlino.
Non lo dico a caso, lo dico perché è questo che voglio raccontarvi. La storia di tredici uomini nella stazione antartica Georg Foster, battente bandiera Repubblica Democratica Tedesca, che assistono alla fine del loro spazio e del loro tempo in una dimensione senza spazio né tempo. I tredici tecnici e ricercatori partono da Berlino Est nell’autunno del 1989 per delle ricerche sul buco dell’ozono, riguardo il quale la Germania Est portava alla comunità scientifica contributi fondamentali. Parallelamente a questo, però, c’è uno Stato che crolla. È una storia che conosciamo tutti, un 9 novembre 1989 che sappiamo a memoria, è quella del funzionario Günther Schabowski che, mentre tutta la Germania Est ed il blocco comunista stanno scricchiolando, si lascia prendere in contropiede da una domanda sulla possibilità di spostamento tra Est ed Ovest durante una conferenza stampa internazionale e, completamente nel panico, risponde che tutte le restrizioni sulla libertà di movimento sono revocate con effetto immediato. In realtà non era vero, questo doveva avvenire il giorno dopo in maniera ordinata e coordinata, ma ormai era troppo tardi. La gente era per strada a festeggiare, i soldati al confine non erano in grado di impedire lo sconfinamento. Il muro passa da uno scricchiolio metaforico ad uno materiale. Fine del tempo, fine dello spazio.
Il 9 novembre 1989 nella stazione antartica Georg Foster è un giorno come un altro. Non potrebbe esserci una situazione più diversa di quella che si sta verificando a Berlino: esistono solo gli iceberg, “a mistery that we don’t understand”. Non si parla di Schabowski, del muro, non si parla di niente. Parla il vuoto cosmico dal quale sei circondato, il tempo dei ghiacciai, lo spazio del bianco fino a perdita d’occhio. Lo vengono a sapere il giorno dopo, il 10 novembre, che casa loro non esiste più. Immaginatevi la fine della Storia di Fukuyama, ma un giorno dopo. In pratica una barzelletta. E infatti le barzellette non si prendono mai sul serio, solo gli stupidi lo fanno. Ed i tredici ricercatori e tecnici della Georg Foster, che stupidi non erano, ridono. Non credono alla notizia, non esiste che sia andata così. Per di più non solo sono fuori dalla dimensione spaziale e temporale, ma sono anche ciechi. Le notizie arrivano dalla radio, non da una televisione. Tutto diventa più difficile da buttare giù. Di fronte alla fine della Storia, se non vedo non credo. Sembra legittimo.
In realtà il muro è cascato davvero, e dopo un po’ se ne sono convinti anche loro. Decidono di non tornare in Germania, di rimanere lì e di congiungersi con le ricercatrici della Germania Ovest, la prima squadra in Antartica completamente al femminile. Torneranno insieme nel 1991, con dei risultati scientifici importantissimi ed una carta d’identità nuova. La loro potevano buttarla via, non erano più quelli di prima, erano un’altra cosa. Nessun lieto fine, nessuna fine drammatica. È semplicemente la fine, e poi un nuovo inizio ancora. È così sempre, e sempre lo sarà, solo che per loro con un giorno di ritardo rispetto a tutti gli altri.
The end. È agosto e ho cazzeggiato molto questo mese, mi son trovato alla fine a scrivere questa roba e spero che sia venuta fuori un qualcosa di bene o male organico. Altrimenti, se non vi è piaciuta, potete sempre aprirvi la vostra newsletter e non romp-scheeeeeeeeeeeerzo. Al solito, per dirmi qualcosa rispondete a questa mail o ci sentiamo su Instagram. Se non avete visto Encounters at the end of the world guardatelo, vi ho messo la versione inglese ma trovate facile anche quella sub ita in giro per Google (non guardatela doppiata, la voce di Herzog è bellissima). Vi saluto. Ciaaaaaaao.
Povero Scheel. Comparato a Honecker! Il buon Erich era a capo di un partito che fatto 250.000 prigionieri politici e rovinato vite e famiglie con la Stasi. La "rivoluzionaria comunista" Meinhof metteva le bombe come hanno fatto in Italia i fascisti. Ho studiato la Raf per anni ma lo stupro in carcere non l'ho mai sentito. Si suicidò perchè era depressa e tormentata dalla scelta che aveva fatto (es. abbandonare le figlie) e perché Baader e Ensslin la trattavanp come una nemica. Che quelli della Raf li ha torturati e uccisi lo Stato, ci credono solo piu in Italia, chussà perché. Del processo a Honecker lascia perdere, non lo terminarono nemmeno perchè l'avvocato invocò i diritti umani. Per Honecker che i suoi detenuti li faceva marcire in carcere o se li vendeva. La Rep federale fu così dura che di 91000 funzionari della polizia segreta ne ha puniti... forse due o tre. Gli altri, quando vengono a trovarmi al carcere della Stasi dove lavoro, dicono le stesse cose che dici tu: la giustizia dei vincitori, i rivoluzionari perseguitati... però i pinguini mi sono piaciuti. Ciao. Gianluca Falanga